giovedì 31 luglio 2014

Memorie di una Geisha, di Arthur Golden

Per la prima volta mi trovo a cercare di scrivere qualcosa che vada oltre una recensione, ed è estremamente buffo rendermi conto che ora, quando potrei semplicemente lasciarmi andare a ruota libera, senza pormi binari, obblighi o limitazioni - ché queste libertà sono le uniche regole che mi sono concessa nel mio angolino - mi trovo forse più in difficoltà di quando cerco di scrivere una recensione ricordandomi che, per definizione, una recensione dovrebbe limitarsi a riflettere sul contenuto di un romanzo, esulando dalle riflessioni puramente personali. Non sono mai stata in grado di seguire una traccia, sono composta di divagazioni, di modo che il contenuto finisca col frammentarsi in innumerevoli risvolti privi d'importanza, e ho sempre vissuto tutto ciò con una sorta di soggezione, con vergogna, ed ora che mi do la libertà di divagare come meglio credo, la soggezione pare aumentare esponenzialmente.
Ma bando alle titubanze, per parlare di un romanzo sarebbero forse necessari alcuni cenni alla trama, ma preferisco lasciare questo compito a persone maggiormente dotate di oggettività e dono della sintesi. Io preferisco parlare dei pomeriggi di un luglio completamente sbagliato, i pomeriggi sul divano con una coperta sulle gambe e una tazza di tè che con lo scorrere delle pagine iniziava ad assumere sapori più complessi.

Alcune volte capita di vedersi passare davanti un romanzo, di trovarlo in cima alla pila dei best-seller, di sentirne tessere le lodi da così tante persone che nella propria mente scatta una sorta di arrogante pregiudizio secondo il quale qualcosa di tanto apprezzato da un così vasto pubblico deve per forza essere un'opera, se non scadente, almeno mediocre. Ecco, proprio questo mi è successo con Memorie di una Geisha, un romanzo che ho sempre evitato, credendo non fosse altro che un pruriginoso scavare fra le tradizioni che maggiormente stuzzicano l'immaginario erotico occidentale solo per il gusto di attirare l'attenzione del maggior numero di persone, senza prestare attenzione alla qualità.
Non v'è dubbio che i pregiudizi non sono mai qualcosa di particolarmente intelligente (e attenzione, parlo di pregiudizi, non di buon senso), a maggior ragione quando questi pregiudizi ci portano a ritenerci in qualche modo superiori, migliori (perché, sì, credere di non potter apprezzare qualcosa di mediocre e di gradito ad un pubblico non particolarmente attento al mondo della letteratura scade in una leggera forma di arroganza che forse è inseparabile da un lettore che si consideri quantomeno appassionato) e questo libro ne è in qualche modo la dimostrazione.
Dicevo, mi sono sempre tenuta lontana da questo romanzo fino a quando, qualche anno fa, iniziai a vedere il film assieme ad un amico, e lo trovai interessante (tralasciamo il fatto che, pur non avendo mai terminato la visione del film, ho visto abbastanza per sapere che, dopo aver letto il libro, non mi interessa andare oltre), e così acquistai l'ebook del romanzo. Ebook che rimase per molti, molti mesi a riposare, dimenticato, in mezzo a file ai miei occhi ben più interessanti, fino a quando, al termine di una delle mie peggiori sessioni d'esame estive, mi sono resa conto di avere bisogno di una lettura leggera, "da svago", con una bella trama avvincente che mi tenesse la fantasia impegnata ma senza richiedere troppe energie, e la storia di questa ragazzina dagli occhi con troppa acqua mi è tornata alla mente.
Che dire, decisamente questo è uno di quei casi in cui i pregiudizi rivelano tutta la loro infondatezza. Sia chiaro, non ho intenzione di mettermi a gridare al capolavoro, non ho certo incontrato il mio libro preferito, ma sicuramente ho trovato qualcosa che fra le letture "da intrattenimento" spicca e balza ai primi posti. È innegabile che mi sia immersa totalmente, completamente nei quartieri di Gion, senza tuttavia sentirmi anche solo minimamente spossata da questo sforzo di immersione.

Trovo che sia un romanzo delicatissimo, con uno stile leggero e assai fluido, scorrevolissimo nonostante il ritmo non sia esattamente serrato, che prende per mano il lettore e lo immerge totalmente, completamente in un altro mondo. È insomma uno di quei romanzi che si leggono d'un fiato, in cui si divorano pagine su pagine con curiosità, senza sentire il bisogno di emergere in superficie ogni tanto per prendere aria e riflettere. Complice di questa totale immersione probabilmente è anche l'ambientazione, che, almeno con me, che sono totalmente digiuna di cultura giapponese, ha giocato anche la carta dello svelare usanze, mondi, atmosfere a me praticamente sconosciute. Non ho idea di quanto ci sia di storicamente fondato in questo romanzo, ma se devo essere sincera mi interessa anche poco, mi ha fatto piacere calarmi in un mondo dove tutto, anche solo i ritmi e l'approccio alla vita hanno un gusto così delicato, diverso, sospeso mi verrebbe da dire. Perché è indubbio che il tempo, in questo romanzo, scorra in maniera diversa: i giorni si assommano fino a creare anni, decenni, eppure tutto accade con una levità tale da permettere di concentrarsi solamente su alcuni dettagli, mentre gli elementi fondamentali, quasi fossero imbellettati sotto strati di cerone, paiono restare immobili: a mutare è forse solo la luce, la prospettiva... a mutare siamo noi lettori, che impariamo a vedere la piccola e impaurita Chiyo non più come una bimba spaventata, ma come giovane donna, come Geisha, artista, donna innamorata, tormentata, felice.
Certo, qualche difetto ha un po' incrinato il piacere della lettura: personaggi come Hatsumomo, importanti e potenzialmente intrigantissimi risultano un ammasso di stereotipi, senza profondità caratteriale (la bella e per sua natura csttivissima, che al primo sguardo già odia, che sembra avere come solo scopo nella vita quello di far soffrire gli altri... mah, sembra molto il cattivo di una fiaba, cattivo a priori, solo perché deve essere cattivo), o anche Zucca, buona ma imbranatella, rotondetta, una sorta di zerbino che solo alla fine acquisisce un po' di spessore e veridicità; la seconda parte del romanzo poi ai miei occhi è apparsa decisamente sottotono rispetto alla prima, più concitata, con tantissimi avvenimenti importanti condensati in poche righe, avvenimenti che si fanno sempre più inverosimili fino ad arrivare ad un finale a mio avviso forzatissimo e stucchevole, un finale che veramente a me non è piaciuto.
In ogni caso, credo che quando un romanzo, dopo poche righe di lettura ti fa dimenticare il suo stile, i difetti, i pregi per immergerti completamente nelle sue vicende, al punto da farti quasi sentire l'odore di bruciato dei bastoncini per disegnare le sopracciglia e il frusciare dei kimono di seta, significa che in qualche modo qualche scopo è stato raggiunto.
Non è forse un romanzo che entrerà nella storia della letteratura, ma senza dubbio ha il pregio di farsi vivere dal lettore, e non è cosa da poco.

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